Lucca nel medioevo tra giochi e baratterie

25/11/2016
Attualità
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Nel corso della storia l'uomo ha sempre cercato momenti di svago per evadere dalla routine di tutti i giorni. Già gli antichi romani coltivavano una passione viscerale per alcuni intrattenimenti da locanda (in particolare per i dadi) praticati trasversalmente da patrizi e plebei. Successivamente il medioevo si è poi saputo affermare come un momento cruciale per lo sviluppo del concetto dei moderni casinò che all'epoca erano chiamati baratterie.
In questo senso Lucca ha fatto scuola e già dai primi anni del '200 le cronache cittadine riportano notizie di assembramenti concittadini dediti al gioco. All'interno delle mura medievali della città i luoghi predisposti a questo genere di attività erano il prato di San Donato, la piazza di San Michele in foro, la loggia dei Fiadoni, la piazza Cortina e alcune porte nel tracciato delle mura. Se nei primi tempi le autorità cittadine cercavano di reprimere questo costume comminando multe e pene ai trasgressori colti nell'atto di giocare in pubblico, un bando del 1335 emanato dal vicevicario mette in luce una certa rilassatezza nelle leggi applicate a questo genere di intrattenimenti stabilendo la fiera di San Regolo come un “giorno libero” dedicato ai giochi di carte e ai dadi. Con questo escamotage, il comune intendeva così attirare “turismo” e forestieri interessati ai costumi “libertini” delle città favorendo così il commercio grazie all'attrattiva del divertimento.

A prendersi carico dell'organizzazione del fenomeno erano i ribaldi, una categoria di individui borderline dediti al gioco e alla vita dissoluta che nel corso del medioevo, a Lucca e in altri comuni toscani, italiani ed europei, si organizzavano sotto l'egida di un podestà o rex ribaldorum o baracteriorum. Questi vagabondi appassionati di carte e dadi erano tra i pochi a non essere sottoposti al divieto del gioco nei luoghi pubblici. Il loro podestà si occupava di strutturare questi divertimenti provvedendo anche al mantenimento della sua “masnada” mentre dalla vendita del proventus ludi il comune ricavava somme utilizzate in opere pie. Si deve proprio a questa fonte di ricavi la costruzione del ponte di San Pietro sul Serchio databile al 1369. La corporazione dei ribaldi partecipava in tempo di pace anche alle attività del comune e aveva voce in capitolo nell'organizzazione degli eventi festivi e poteva punire i giocatori trasgressori che ad esempio non pagavano i debiti di gioco o scatenavano liti. I ribaldi lucchesi erano anche parte attiva dell'esercito e avevano un loro corpo che partecipava alle operazioni militari della città. Il rex baracteriorum si interfacciava direttamente con le autorità cittadine, ad esempio nel 1378 si ha notizia di un tal Barsotto Nuchini detto Lillo, il rex ribaldorum dell'epoca che ottenne dal consiglio degli Anziani permessi e fondi per organizzare ludi cittadini e intrattenimenti nei tre giorni precedenti al Natale.
Tra i giochi più diffusi all'epoca vi era la zara, citata anche dalla Divina Commedia nei primi versi del canto VI del Purgatorio di Dante Alighieri. Questa attività consisteva nell'azzeccare le combinazioni di tre dadi lanciati sul tavolo di gioco. Larga fortuna, ebbero altri intrattenimenti quali l'aliosso, la corrigiola, il coderone e le marelle. Già dai primi del '400 si affiancarono a queste attività anche le carte allora chiamate naibi. Lo Zarro era uno degli intrattenimenti più diffusi con questo nuovo supporto tanto da essere anche immortalato nel celebre dipinto I bari di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Non era esattamente come giocare a poker dato che le regole si distinguevano leggermente, ma lo Zarro aveva già diversi aspetti simili al poker, come il computo dei punti che prevedeva coppie, tris, scale e colori.

Con il tempo il comune intuì l'opportunità offerta dall'organizzazione dell'azzardo in città e stabilì le regole della baratteria lucchese, codificando un monopolio pubblico gestito dal comune affidando annualmente ad un proventuale i ludi cittadini. Si venne così a creare una gabella del gioco, una sorta di concessione data dal comune a privati per meglio controllare il fenomeno e al contempo approfittare dei ricchi proventi di tale attività.
I ribaldi persero così le loro prerogative ma il gioco continuò a fiorire in città rimpinguando le casse del comune.

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